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giovedì 23 maggio 2013

The Journals of Musan

Il confine della solitudine


Film coreano del 2010 diretto da Park Jung-bun.

Seung Chul , un rifugiato nord coreano, non riesce ad inserirsi nella vita frenetica di Seoul. Gli unici lavori che riesce a trovare sono degradanti ed umilianti. Si è anche invaghito di una ragazza che ha conosciuto nel coro della chiesa. La segue, la pedina e riesce anche a farsi assumere dal padre, che gestisce un locale di karaoke. Ma, nonostante sia una persona corretta, onesta e leale, l'unico amico che riesce a trovare è un cucciolo abbandonato per strada.

La correttezza di ogni essere umano consiste nell'essere conforme al copione che ha scritto per se stesso. Ma, con ogni evidenza, qualcuno questo copione lo doveva aver  redatto al posto mio. A Musan, in Corea del Nord, dovevo lottare con le unghie e con i denti per un tozzo di pane, qui, a Seoul, non era certo diverso: sfruttato, angariato, ridicolizzato, deluso da tutto, vegetavo e sognavo. Sognavo quella donna, la spiavo, la pedinavo ovunque andasse, ho cercato in ogni modo di avvicinarmi a lei, ma alla fine è sempre la solitudine che vince ogni battaglia. Non c'è scampo, dobbiamo vivere soli, soffrire e accettare le prove che la vita ci riserva. Ma, forse, è un sentimento condiviso, un esame che tutti dobbiamo sopportare: è la solitudine della civiltà. Forse in fondo all'animo umano sopravvive il fievole ricordo di un tempo felice, solare, un'oasi di pace. Tutto è possibile. Chissà.

Bel film coreano ispirato alla vita di Jeon Seung-chul, un amico del regista, morto prematuramente. È un film sincero, sentito, girato senza orpelli, in cui la lezione del maestro Lee Chang-dong è ben visibile (Park Jung-bum è stato assistente alla regia in Poetry).
Un'opera prima veramente riuscita, di una maturità sorprendente.

7,5/10
 Musanilgi
(2010) on IMDb


musica appropriata: Sam Amidon, My old friend

3 commenti:

  1. La parte narrativa della rece è bellissima, bombus. Complimenti!

    Il film, da come ne parli, par promettere bene, specie dal momento che il regista ha lavorato in quel gioiellino che è "Poetry". È da un po' che non vedo un film coreano, poi: 'sto inverno ne ho fatto incetta e non ci sono più tornato sopra, a parte per un incursione durante il FEFF.

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    1. Grazie, sei gentile.
      Poetry, hai ragione, è un vero gioiellino. Questo, ovviamente, non è all'altezza, ma è un esordio molto, molto interessante. Certo, la storia è un po' deprimente, drammatica, permeata di un pessimismo assoluto, senza speranza e ne viene fuori il ritratto di una società coreana ipocrita e spietata.

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  2. Forse lo è davvero. Effettivamente, a pensarci, un leit-motiv di diversi film sudcoreani visti può essere appunto quello della società crudele, spietata, dalla quale l'individuo può salvarsi solamente rintanandosi in se stesso o nei rapporto familiari. Penso a "Pietà" per esempio, ma anche a "Bedevilled" e a diversi altri.

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