Cerca nel blog

venerdì 21 giugno 2013

Sorum

La casa dei sospiri


Film coreano del 2001 scritto e diretto da Yun Jong-chan.

Yong-hyun, tassista, è il nuovo inquilino dell'appartamento 504 di un palazzo diroccato nella vecchia Seoul. Dicono che quell'alloggio sia maledetto perché il precedente inquilino è morto in un incendio e trent'anni prima c'è stato un omicidio. Ma Yong-hyun è scettico, non crede nel destino, non si fa impressionare. Preferisce frequentare una graziosa commessa che abita nell'appartamento vicino.

Era come se tutte le finestre e le porte della casa, tutti gli androni, i portoni, le persiane, mi guardassero con una intensità tale che deformava la facciata in una smorfia umana. Quel palazzo diroccato nascondeva segreti insondabili. E l'appartamento 504, il mio, celava qualcosa di maligno. Da quel buco nero, mezzo bruciacchiato e annerito, come una bocca senza denti, ogni tanto scaturivano urla terribili, ululati che facevano rabbrividire. Ogni tanto si sentiva un pianto straziante, dei gemiti di un neonato, dei lamenti di bambini che risultavano intollerabili. Quel palazzo stava morendo e i suoni che produceva facevano rabbrividire: scricchiolii sinistri, strani rumori, non si udiva mai la consueta sonorità di chiacchiere, liti e canzoni mentre si stendono i panni al sole. E pioveva, pioveva sempre.
Anch'io contribuivo nel mio piccolo, la notte, con sibili, urla a mezza bocca, singhiozzi trattenuti, strani sospiri che riuscivano ad inquietare anche il mio criceto nella sua gabbia e, probabilmente, anche i fantasmi che la notte indisturbati percorrevano in lungo e in largo il caseggiato.

Presentato come uno strano connubio tra film d'autore e horror, Sorum dell'horror conserva solo l'atmosfera. E i rumori:  strida, gemiti, sospiri, grida, latrati, fruscii, bisbigli; tutto un  campionario di suoni da far accapponare la pelle.
Per il resto è un film molto ben fatto, lento quanto basta, raffinato, ben girato. Il regista è bravissimo nel far percepire la tensione, che si accumula lentamente, inesorabilmente.
Peccato che l'intreccio faccia acqua da tutte le parti. Ma va bene anche così.

7,5/10
 Sorum
(2001) on IMDb


musica appropriata: Case Studies, Passage me in the dark

lunedì 17 giugno 2013

Breakfast on the grass

Concerto campestre


Cortometraggio estone di animazione del 1987 diretto da Priit Pärn.

Anna, una casalinga ha bisogno di trovare delle mele. Le mele sono considerate merce di lusso e, in una società come quella sovietica, difficili da trovare. Dovrà umiliarsi, mortificarsi, ma dovrà trovare quelle mele.
Berta, una bella donna madre da poco, perde improvvisamente la faccia. Per non far piangere la bambina dovrà dipingersela con il rossetto. Anche Diego ed Eduard hanno i loro problemi.
Alla fine si incontreranno per una bella colazione sull'erba (stile Manet)

I giorni passano uno dopo l'altro, sempre uguali, sempre gli stessi. La routine e le necessità quotidiane ti costringono ad una vita monotona, grigia, squallida, senza sorprese. Oggi, però, è un giorno diverso dagli altri: devo assolutamente procurarmi delle mele. Sarà difficile, quasi impossibile; dovrò ricorrere al baratto, al mercato nero, dovrò mortificarmi, umiliarmi. Ma queste mele devono venir fuori. Costi quel che costi.
Intanto, tutti mi squadrano con attenzione, nei loro sguardi leggo una certa sorpresa, un certo disagio. Devono pensare che non faccio parte di questo mondo, non sanno spiegarsi la mia presenza tra loro. Loro, così uniformati, così simili. Così spaventati.
Un uomo viene trascinato con  forza da due militari, faccio finta di niente, ho uno scopo impellente da perseguire, non posso perdere tempo con la compassione, non posso certo aiutarlo.
Devo trovare queste dannate mele, se no ci perderò la faccia!


Un cortometraggio surreale, onirico, divertente, tragico, geniale. Considerato uno dei capolavori dell'animazione sovietica, è stranamente poco conosciuto.

8/10
 Eine murul
(1987) on IMDb



domenica 2 giugno 2013

Poyraz

Take me to the river


Cortometraggio turco del 2006 diretto da Belma Bas.

Una bambina vive con i nonni in una vecchia casa spersa tra le montagne. La vita scorre lenta e quieta, secondo le antiche tradizioni dei contadini di una volta.  Un giorno, mentre sta osservando lo scorrere lento del fiume la ragazzina vede un vecchio dalla barba bianca, forse lo spirito del bisnonno.

Era da sempre che passavo le vacanze estive nella casa dei nonni, in montagna. Conoscevo già tante cose, mi consideravo una vera esperta. Sapevo che bisognava fare bollire il latte per ore perché diventasse formaggio, che bisognava stare lontani dal ciglio della strada per evitare le minuscole zecche che si disperdono rapide e pizzicano maledettamente, che bisognava non avvicinarsi troppo al fiume, che non bisognava correre tra l'erba alta per via delle spine.
Mi piaceva stare ore e ore a guardare da lontano il lento e sinuoso scorrere del fiume. E un giorno lo vidi: maestoso, altero, con una lunga barba bianca, in piedi sulla sua piccola barca, un tronco come remo. Il cuore mi rimbombava, volevo correre via, la paura, però mi paralizzava. Ad essere sinceri, non era  paura, ma una curiosità mista a terrore. Quel vecchio doveva venire da un altro mondo, forse dal fiume stesso o chissà da dove.
L'altra notte ho sognato che morivo e andavo in Paradiso. Non era come me l'aspettavo, ma c'era lui, il vecchio con la barba bianca, con la sua ridicola barchetta. Mi guardava di sottecchi. Accanto a lui c'era mia nonna: gli carezzava la barba e poi gli stringeva amorevole la mano grinzosa. Entrambi gridavano il mio nome, ma le loro voci si distinguevano appena, come una eco lontana. Quando mi svegliai era giorno fatto. E il sole brillava radioso.

Bellissimo cortometraggio turco. Una trama semplicissima in cui traspare l'amore per la vita autentica di una volta, per le vecchie tradizioni ormai sul punto di scomparire per sempre. Una fotografia sfolgorante esalta ancora di più la magnificenza della natura delle montagne del nord della Turchia.
Nominato a Cannes per la palma d'oro come miglior cortometraggio.

8/10
 Poyraz
(2006) on IMDb


musica appropriata: Agnes Obel, Riverside

sabato 1 giugno 2013

La grande bellezza

Fantasmi a Roma


Film italiano del 2013 diretto da Paolo Sorrentino.

Jep Gambardella ha ottenuto la notorietà da giovane con il suo primo romanzo. Da allora non ha più scritto nulla ed è diventato un affermato giornalista e un frequentatore assiduo della mondanità romana, un baraccone  popolato da nobili decaduti, starlette, cafoni, radical chic, immobiliaristi, artisti di "avanguardia". Jep non ne può più, ripensa solo ai bei momenti della sua infanzia perduta e al suo primo amore. Il resto è meglio dimenticarlo.

Egocentricamente, cinicamente fingevo di credere che il mio modo di essere fosse soltanto il perfido inganno di un sopravvissuto che si prende gioco del mondo; dall'alto della sua sapienza, della sua notorietà, della sua saggezza, della sua crudeltà. Un mondo al tramonto, in una grottesca decadenza. Osservavo, come uno straniero attento e disincantato scruta una terra sconosciuta, osservavo e giudicavo. Ai margini, ma pur sempre presente. Brillavo per la mia studiata marginalità.
Ma adesso basta!, non ne posso più di questa ipocrisia, di questi pettegolezzi, di questa meschinità, di questa baracconata, di questi trenini, di questa nebbia che nasconde solo nebbia. Ma il mio futuro ha i giorni contati, non ho più nulla da dare, né da ricevere, la mia anima mi appare arida e accartocciata. Annientata. Mi rimane un solo desiderio, una sola preghiera, la stessa che recitavo da bambino prima di prendere sonno: "Signore, fa che domani mi possa stupire di qualcosa!"

L'ultima fatica di Sorrentino è un film sovraccarico, quasi barocco: interminabili piani sequenza, giochi d'ombra, panoramiche ardite, una fotografia luccicante, citazioni e rimandi, una folla di comparse, un carosello continuo, quasi stordente. Alla pienezza visiva si contrappongono vuoti nella sceneggiatura  e una tesi di fondo non troppo originale: viviamo una società in decadenza, svuotata, priva di ogni valore etico, superficiale, frivola, kitsch e Roma è la città che incarna meglio di tute questa caratteristiche. Il tutto è rappresentato da personaggi macchietta, stereotipati, grotteschi, finti, posticci, banali. Il personaggio di Madre Teresa, la santa dell'epilogo, è l'emblema del ridicolo, sembra star lì come una figurina appiccicata sulla pagina sbagliata dell'album.

7/10
 La grande bellezza
(2013) on IMDb


musica appropriata: Damien Jurado - Everything Trying